La Casata Perabo nel IXX e XX secolo

Con Gabrio Perabò, vissuto nel borgo varesino tra la fine del XVII e la metà del XVIII secolo, iniziava ad appannarsi il periodo d’oro della Casata Perabò; Gabrio aveva avuto quattro figli maschi: Pietro Paolo [1], Felice, Giuseppe [2] e Francesco. [3]

Alla sua morte, il primogenito Pietro Paolo, entrato in possesso per diritto di primogenitura, ancora vigente, della maggior parte del patrimonio famigliare, divenne il personaggio più rappresentativo della Casata Perabò. Erede di un cospicuo patrimonio immobiliare e agrario, depositario di un potere patrizio rimasto pur sempre influente a fronte dei cambiamenti politici e sociali che negli ultimi 10 anni del settecento avrebbero sconvolto il vecchio continente europeo, entrò in politica ancor giovane, eletto nel 1740 tra i reggenti di Varese. Pietro Paolo decedeva il 15 giugno 1796.

Non avendo discendenza diretta, lasciava per testamento ai fratelli l’importante eredità paterna indivisa; edifici nel centro di Varese e ed un estensione di terreno agricolo con massari nel contado attorno al borgo. Un asse ereditario davvero cospicuo, di non facile ripartizione tra i quattro eredi: nel 1797, un anno dopo la morte di Pietro Paolo Perabò, nell’impossibilità materiale di venirne a capo, il tutto venne affidato ad un perito di Milano Emanuele Pinciara. Un lavoro di rilevamento mappale, facilitato in parte dal nuovo catasto teresiano, un certosino lavoro nella stima della miriade di proprietà disseminate nel corpo ereditario. Ancor più laboriosa la successiva costituzione dei quattro piedi ereditari, dovendo moderare le velleitarie aspirazioni degli eredi e bilanciare il complesso meccanismo delle necessarie compensazioni. [4] Un patrimonio, quello dei Perabò, che oramai deteriorato dal calo delle rendite agrarie e immobiliari, frazionato tra i numerosi eredi diretti ed indiretti, aveva perso quel potere che nei precedenti secoli era stato alla base dell’egemonia politica del Casato nel governo del borgo di Varese.

Alla metà del XIX secolo il complesso cittadino delle Case Perabò rimaneva oramai circoscritto ad alcuni stabili da anni concessi in affitto, divenuti nel tempo fatiscenti. Era ciò che ancora sopravviveva nella Squadra di Santa Maria del patrimonio mobiliare dei nobili Perabò. Solo un secolo prima le proprietà cittadine della famiglia si estendevano dalla Chiesetta di San Rocco, posta nel corso maggiore, alla chiesa di San Lorenzo, adiacente all’Ospedale dei Poveri, dalla chiesa di San Giovanni Evangelista del Monastero delle Vergini Orsoline alla Chiesa di San Antonino dell’omonimo Convento. 

Il rev. Pasquale Perabò,  divenuto proprietario di quella parte del caseggiato prospiciente la piazzetta San Rocco,  ritenne di ristrutturare lo stabile; la richiesta venne inoltrata alla commissione del Pubblico Ornato di Varese nell’aprile 1829 (17 agosto 1929. Autorizzazione n° 391 della Commissione per l’Ornato Pubblico). Dal prospetto delle due facciate appariva chiara l’intenzione del nuovo proprietario di rendere abitabili i piani superiori con l’apertura di nuove finestre e di dare maggior pregio alla monofora sopra l’accesso principale.

Anno 1829.  Progetto di ristrutturazione di Casa Perabò ( mappale 3042/1) verso ponente e mezzogiorno prima e dopo il rifacimento delle facciate con  l’apertura di nuove finestre. (Archivio  Comunale di Varese)

 

 Qualche anno dopo, nel 1832 volendo dare miglior assetto estetico alla facciata prospiciente la piazzetta San Rocco, il rev. Pasquale Perabò richiese alla Commissione del Pubblico Ornato del Comune di Varese l’autorizzazione ad accedere con un ingresso sito a lato del portale ai locali di pianterreno posti sulla ex via San Rocco (19 settembre 1832. Autorizzazioni n° 1440 del 20 settembre 1832 e n°1446 del 25 settembre della Commissione per l’Ornato Pubblico del Comune di Varese.).


 Anno 1832. Progetto di ristrutturazione della facciata di Casa Perabò (mappale 3042/1) verso ponente.

(Archivio Comunale di Varese)

Un personaggio singolare questo prelato; ben lontano dai fasti famigliari del passato, Don Pasquale lavorava parecchie ore al giorno per uno stipendio di insegnante di lettere alla scuola Filosofica di Lodi che gli permetteva di tenere un tenore di vita perlomeno decoroso. Allorché i fremiti del movimento insurrezionale percorsero nel 1848 la Lombardia, Pasquale Perabò ne divenne uno degli interpreti più convinti: nominato membro del governo provvisorio di Milano, fu protagonista di quelle giornate storiche sulle barricate. Epurato, sospeso dall’insegnamento e dallo stipendio dall’amministrazione austriaca, venne messo definitivamente a riposo nel 1854. [5]

Ritornato a Varese riprese la vita parrocchiale come confessore nella Basilica di San Vittore e nella chiesa di Biumo inferiore. Morì, sembra in ristrettezze economiche, il 18 maggio 1860 nella casa di famiglia dei Miogni.

Con la morte di don Pasquale non si estinse in Varese solo la casata Perabò, ma venne a cessare anche l’antica tradizione del “ pane dei Perabò “.

 


  


[1] L. Borri – Documenti Varesini – 1891, . 47.

 

[2] Felice si era laureato in dottorato fisico, Giuseppe aveva scelto l’avvocatura fiscale, Gio Batta aveva seguito la professione notarile e infine Francesco aveva abbracciato la carriera ecclesiastica.  Giuseppe Perabò era stato nominato nel 1771 Vice Priore di Fabbrica nella costruzione del campanile della Basilica  di San Vittore. Nel 1772  gli era stato confermato l’incarico; il compimento dell’opera, progettata dal Bernascone, unitamente al cupolino della basilica di San Vittore avvenne il 1 agosto 1774.  L. Giampaolo – Le Memorie della città di Varese – 1955, Tip. Galli, p.64.

 

[3] Francesco Perabò, primo canonico della Collegiale di San Vittore si era fatto promotore nel 1803, nel periodo napoleonico, di una petizione al vice presidente della Repubblica Cisalpina Melzi d’Eryl; in una dettagliata relazione sulle origini i privilegi e i diritti del Capitolo diocesano varesino, aveva richiesto che tale Capitolo venisse mantenuto ed  inserito tra le Collegiate più insigni della Lombardia. La supplica, compilata nella Casa Teologale di Varese e firmata dal prevosto Giulio Verati, non ebbe seguito. Nello stesso anno il Capitolo diocesano di Varese venne definitivamente chiuso.  L. Giampaolo – Le Memorie della città di Varese – 1955, Tip. Galli, p.64.

 

[4] Documento di divisione della sostanza Perabò. Emanuele Pinciara  Perito Ag. di Milano. Varese 18 giugno 1811, Arch. di Stato di Como, N R, e H2.

 

[5] Pasquale Perabò, era nato a Varese nel 1798; figlio d’arte, se così lo vogliamo definirlo, aveva scelto al pari di molti suoi predecessori la carriera ecclesiastica presso il Seminario Arcivescovile di Milano.  Ordinato sacerdote nel 1821, aveva ottenuto la cattedra di professore di lettere della Scuola Filosofica di Lodi.

M. Lodi, L. Negri – C’erano una volta, Perabò – Ask Ed. pp. 155-156. senza data.