La Casata Perabo nel XVI secolo

Nel borgo di Varese la numerosa presenza di prelati nobili nella Collegiata di San Vittore aveva di fatto accresciuto il potere delle famiglie patrizie nella gestione della Basilica di San Vittore, per cui il clero varesino, condizionato e supportato dall’autorità laica cittadina, amministrava quasi autonomamente la vita religiosa della borgota e del territorio, ignorando, se non trasgredendo, le disposizioni dell’Arcivescovado di Milano. [1]

 

Questa situazione ebbe a mutare radicalmente con la nomina  ad Arcivescovo di Milano di Carlo Borromeo; la venuta a Varese dell’Arcivescovo di Milano non fu di certo un evento casuale. Il giorno 11 novembre 1567, in occasione della prima visita pastorale alla diocesi di Varese, Carlo Borromeo non  perse tempo a sottolineare con fermezza che la vita ecclesiastica delle comunità non doveva essere per nulla condizionata da pressioni esterne, nè laiche, nè politiche.

Fu con una certa sorpresa che i membri della Collegiale di San Vittore di Varese si videro convocati in tutta fretta da Carlo Borromeo [2] nel Consiglio Ecclesiastico della Diocesi; da tempo trascurato, se non dimenticato dal clero locale.

In quel concistoro riunito in tutta fretta, il canonico di San Vittore Bernardino Perabò di certo non si sarebbe aspettato da parte del suo Arcivescovo, una dura critica al Clero secolare della diocesi varesina, incolpato di asservimento alle locali autorità politiche e alle casate patrizie. Né tanto meno una dettagliata censura amministrativa sull’esiguità delle entrate diocesane, dovute, secondo il Borromeo, allo scarso impegno pastorale del Clero locale, a dispetto del numero elevato di prelati disponibili. Ma, circostanza  ancor più grave a giudizio dell’eminente arcivescovo, che da più di un quarto di secolo nella Collegiata di Varese non sedesse alcun prevosto nominato, more solito, dalla curia milanese. A nulla valsero le giustificazioni di Bernardino a difesa di una situazione diocesana consolidata nel tempo, né tanto meno a contrastare la decisione di Carlo Borromeo di ridurre drasticamente da trentadue a diciotto il numero dei canonici della Collegiale di San Vittore. A seguito di tale grave provvedimento disciplinare, la Collegiale di San Vittore, venne affidata ad un sacerdote “teologo” nominato direttamente dalla Curia di Milano, carica questa rimasta immutata per oltre mezzo secolo, ancora in essere in occasione della successiva visita pastorale del Cardinal Federigo Borromeo. Non abbiamo notizie sul destino di Bernardino e dei quattordici prelati esclusi; di certo fu un duro smacco per la famiglia Perabò. [3]

In occasione della visita pastorale, Carlo Borromeo volle visitare l’Ospedale di San Giovanni e l’Ospizio alle Nove Fonti; narra il Borri che ne trasse un impressione triste e dolorosa. L’Ospedale di San Giovanni, un edificio. cadente e squallido sito nei pressi della Cattedrale, non offriva un’adeguata assistenza sanitaria ai bisognosi; dimenticato dalle autorità comunali, trascurato dagli stessi cittadini, si manteneva con le scarse rendite di qualche lascito testamentario.

Non migliore era la situazione dell’Ospizio situato alle Nove Fonti; disabitato da tempo, lasciato all’incuria dagli amministratori, era oramai una struttura fatiscente priva di ogni conforto abitativo, ne tanto meno  sanitario.

Volendo porre fine ad uno stato di cose così deplorevole, l’Arcivescovo Borromeo convocò in Basilica il Podestà di Varese unitamente ai Consoli e uomini di Provvisione del borgo; i soli rettori dell’Ospedale  di San Giovanni poiché l’Ospizio alle Nove Fonti da tempo non eleggeva i diretti responsabili. Per la squadra di  Santa Maria nel 1569 venne eletto quale rettore dell’Ospedale, Angelo Perabò, figlio di Andrea; un incarico ad un laico Perabò voluto dall’Arcivescovo, quasi a compenso dell’onta di San Vittore, un mandato che per la famiglia Perabò diverrà quasi istituzionale nei successivi secoli , a dimostrazione di quanto pesasse nel borgo l’importanza e la responsabilità di questa struttura ospedaliera. [4]

Nelle vicende politico-ecclesiastiche di quel periodo si inserisce la storia di uno singolare studioso; Girolamo Perabò. Autorevole ricercatore in fisica e scienze matematiche, amante delle arti nobili quali poesia e musica, venne chiamato a Roma da Pio IV. Non abbiamo notizie delle sua vita, né delle motivazioni per cui Girolamo Perabò fu invitato a Roma dal Pontefice. La cronaca riporta che non giunse mai in Vaticano, essendo defunto durante il viaggio nel 1557. [5]

Sullo scenario cinquecentesco della vita religiosa varesina appare una straordinario personaggio, questa volta femminile: Caterina Perabò. Figlia di Angelo Perabò, ancor giovane, l’11 gennaio 1531, aveva perso il fratello Bernardo durante l’epidemia della peste che a quel tempo dilagava in tutta la Lombardia. Costretta in quarantena nella casa del cugino situata alla Paina nel territorio di Casbeno, il 19 gennaio 1631 Caterina, nel timore di soccombere pur essa all’epidemia, aveva  espresso un testamento orale notificato da Gian Angelo Maria Castiglioni, notaio di Varese. Avrebbe donato all’Ospedale dei Poveri metà dei suoi averi posti in quel di Maccagno sul Verbano, già feudo dei Conti Mandelli, con l’obbligo di far celebrare ogni anno nella cappella di Santa Maddalena, eretta dai suoi antenati nella Basilica di San Vittore < tante messe quante ce ne volessero per ispendere un quarto dei frutti di tale  bene >.[6] Il destino fu benigno con Caterina; il temuto contagio non ebbe, quasi per un miracolo, a verificarsi. Con la morte del fratello, rimasta orfana, dovette provvedere al governo dei beni familiari, davvero cospicui, avuti in eredità dal padre e dal fratello.

Allorché l’Arcivescovo Borromeo, desideroso di dare vita ad un Convento di suore nel borgo di Varese, volle adempiere alla promessa fatta alle Vergini di Sant’Orsola nella sua prima visita pastorale,  Caterina propostasi all’Arcivescovo ed eletta Badessa < a se ipsi > nell’anno 1584, mise immediatamente  a disposizione della Congregazione uno stabile di sua proprietà a Porta Regondello;[7] una casa d’accoglienza per dare un tetto alle Vergini di Sant’Orsola che già operavano nell’Ospedale dei Poveri, per ospitare giovani e meno giovani desiderose di abitare in comunione senza assumere obblighi religiosi che le facesse credere o le tenesse soggette alla giurisdizione della diocesi. Il Convento nel 1587 venne dotato di una chiesa.[8] Può apparire singolare la decisione di Carlo Borromeo di consentire la nascita di un Monastero laico in un momento in cui, già in aperto conflitto Caterina Perabò con il Prevosto di San Vittore, la stessa politica della Curia di Milano era protesa a compattare una Chiesa Lombarda fortemente centralizzata e gerarchica. E’ presumibile che l’Arcivescovo, memore della traumatica ristrutturazione del clero secolare della diocesi Varesina avvenuta vent’anni prima, al pari di quanto deciso per gli Ospedali, non volesse ulteriormente infierire su di una iniziativa di una famiglia patrizia del luogo che, se realizzata secondo i dettami della Chiesa, avrebbe rappresentato una ulteriore argine al preoccupante diffondersi del protestantesimo dal vicino Ticino. [9]

La seconda metà del XVI secolo, vedeva gli spagnoli dominare incontrastati nella vita politica della Lombardia. Per quanto riguarda il borgo di Varese, il nuovo Governatore di Milano, il Duca di Albuquerque, aveva mostrato sin dal suo insediamento, di voler sopprimere quei benefici, non solo politici, ottenuti dai Visconti e dagli Sforza, nell’intento di restaurare un regime di maggior controllo e dipendenza dell’autorità centrale di Milano.27) Il 18 dicembre 1577, alla presenza del Podestà, lo spagnolo don Giovanni Paciecho, si tenne un affollato comizio nel battistero di San Giovanni a sostegno dell’autonomia politica del borgo; un solenne plebiscito con l’intervento di duecentocinquanta nobili e maestri d’arte delle quattro squadre di Varese. Compatta e determinante fu la presenza del Casato Perabò nelle persone di Giovanni Pietro Perabos figlio di Enrico, di Battista, Benedetto e Raffaello  Perabos  figli  di  Andrea e di Giovanni Alberto Perabos figlio di Leonardo.[10] Questa massiccia partecipazione popolare ebbe se non altro il risultato di mitigare i piani velleitari dei dominatori spagnoli; il borgo di Varese riuscì, se pur a fatica, a mantenere inalterata quella autonomia di governo così faticosamente ottenuta dal Ducato dei Visconti.[11]

Era comunque necessario cautelarsi: qualche anno dopo, nel 1583, la comunità di Varese al fine di contenere le continue ingerenze del governatore spagnolo, decise di darsi un nuovo ordinamento politico amministrativo; quali diretti collaboratori del Podestà spagnolo, furono creati i reggenti che in numero di sei, quante le squadre cittadine, tutti con pari potere, eletti a suffragio universale, costituirono la prima rappresentanza democratica del Comune. Nel 1585, fu eletto per la prima volta il Consiglio dei Reggenti, rappresentativo della città. Per la squadra di Santa Maria non poteva essere nominato che un Perabò; divenne reggente  Carlo Alberto. [12]

Ma al di la dei vitali problemi dell’assetto politico, non poteva mancare l’interesse nei riguardi dei monumenti che caratterizzavano l’immagine cittadina. Verso la fine del XVI secolo, il podestà di Varese, lo spagnolo don Alessandro de Farra, preso atto della fatiscenza della Chiesa di San Vittore, convocò nel pretorio i Consoli del borgo, i reggenti o uomini di Provvigione delle sei squadre[13]; decisa la demolizione; i lavori di ricostruzione iniziarono nel 1580, diretti dall’architetto varesino Giuseppe Bernascone e durarono sino al 1606. Gli uomini di Casa Perabò divennero protagonisti in questa fase di ristrutturazione con un cospicuo apporto finanziario; da Giuseppe Perabò, a quel tempo reggente della squadra di Santa Maria, alle nobili famiglie di Angelo, Cristoforo e Giovanni Alberto Perabò, e infine di  Nicolao Perabò.[14]

 


[1] Fu il caso della Chiesa dell’Annunziata dei padri minori e riformati; il Convento fondato nel 1468 dal Beato Cristoforo Piccinelli e Antonio da Balocho dei Minori Osservanti, era stato costruito con speciale concessione del Pontefice Paolo II nel 1469 e con il sostegno economico delle casate patrizie di Varese. Tra queste, la famiglia di Giuseppe Perabò, che, nel 1531, ebbe a partecipare tangibilmente all’ampliamento della Chiesa.  Con questa prodigalità laica i padri riformati, oltre al completamento del Convento ed al maggior splendore della Chiesa dell’Annunziata, si erano assicurati “in perpetuo” il godimento di una sostanziosa rendita legata ai riti religiosi, generando di fatto uno stato di sudditanza, non solo morale, verso il benefattore. L. Giampaolo – Chiese, Conventi ed altri edifici della vecchia Varese scomparsa – pp. 179-181.

[2] Il cardinale Carlo Borromeo fu uno dei maggiori collaboratori del Pontefice nel Concilio di Trento in cui furono definite numerose riforme delle quali il futuro Santo fu inflessibile esecutore. Prese possesso della Diocesi di Milano nel 1565. Fu severo ed implacabile soprattutto nella moralizzazione dei costumi sia all’interno della Chiesa che nella vita della popolazione, che nel potere dei governanti. Ma non meno determinata la sua azione contro il protestantesimo che dilagando nel Canton Ticino, minacciava seriamente la Lombardia settentrionale. Per questa ragione Borromeo procedette a visitare periodicamente città e diocesi, soprattutto le zone a rischio quelle più esposte “al contagio” dell’eresia, come le zone alpine. La visita aveva lo scopo principale di tastare il polso della situazione, mettere a fuoco le negligenze, le deviazioni locali, e riportare gli ecclesiastici del luogo alla stretta osservanza delle disposizioni della Curia di Milano, a cui era fatto obbligo di uniformarsi. L. Antonielli e G. Ghittolini  – Storia della Lombardia – Ed. Laterza, 2003, I° Vol. pp. 193-206.

[3] Ne fa testo quanto emerso dal suo epistolario personale in cui, facendo riferimento alle prebende dei Canonici di Varese, aveva imposto agli eredi di prete Bernardino Perabovi, nel frattempo defunto, di pagare un condono di cento scudi  < ai quali esso prete Bernardino fu condannato da noi >. Le pergamene di San Vittore in Varese – Vol. II, anno 1567, p. 68-69.

[4] Deputati Perabò dell’Ospedale San Giovanni: 1572 Benedetto Perabò Governatore degli Ospedali; 1574-1589 Nicola Perabò figlio di Enrico; 1585 Angelo Perabò; 1589-1596 e 1599-1601 Alberto Perabò figlio di Alberto;1601-  1604 Giuseppe Perabò; 1608 Nicola Perabò; 1612 Francesco Perabò; 1620–1627 Gerolamo Perabò; 1658-1672  Carlo Alberto Perabò, tesoriere dell’Ospedale San Giovanni . L. Borri – Lo Spedale de’ poveri di Varese – 1901, pp 486-491.

[5] Girolamo Perabò: amante della letteratura e della musica. Come uomo di cultura doveva essere noto al pontefice se venne chiamato a Roma. Pio IV  (Gian Angelo Medici di Milano salito in Cattedra Vaticana 1559-1566) aveva supportato dopo il Concilio di Trento la candidatura di Carlo Borromeo all’Arcivescovado di Milano; potrebbe esse stato lo stesso Borromeo a segnalare Girolamo Perabò al Pontefice. A questo personaggio potrebbe attribuirsi il progetto e la realizzazione dell’insieme grafico con soggetto mitologico del soffitto del locale alla base della torre Perabò (n.d.a.).  Si veda L. Besozzi – Il Cardinal Gian Angelo Medici ( Pio IV ) nei documenti dell’archivio di Frascarolo 1549-1559 -Libri e Documenti, II 1985/3 pp. 14-30.

[6] L. Borri – Lo Spedale dè poveri di Varese – 1901, p.344.

[7] La Compagnia della Orsoline di Varese venne istituita da San Carlo il 5 settembre 1584. L Borri – Documenti varesini – 1891, p.231 / N. Soriani – Sulla Pieve di Varese – Bibl. Ambrosiana, Milano, E.S., II, 32 H64.

[8] La Chiesa di San Giovanni Evangelista, che venne in seguito incorporata nel vecchio Ospedale dei Poveri, sito nell’attuale Piazza Giovine Italia all’angolo di via Donizetti. M. Bertolone – Varese e le sue Castellanze – Ed A. Faccioli Milano, 1952, p. 40.

[9] Carlo Borromeo, pur senza convinzione, si era premurato di dare al nuovo Monastero un regolamento più o meno rigoroso: le “ Regole da osservarsi delle vergini stando nel secolo “.  Normativa già di per se di dubbia interpretazione, poiché sembra che in queste regole monastiche non ci fosse neppure l’obbligo dell’adempimento ad litteram. Lo stato laicale della Congregazione era ancor più evidente dal fatto che nel Monastero non sarebbero state ammesse giovani donne che avessero contratto precedentemente il voto religioso. Non soggetta quindi a giurisdizione ecclesiastica diretta, Caterina Perabò, poteva quindi gestire autonomamente, unitamente alle sorelle Feliciana e Flaminia, il governo del Monastero,  sostenuta  esternamente da gentiluomini laici. L. Giampaolo – Chiese, Conventi ed altri edifici della vecchia Varese scomparsa – pp. 231-232.

[10] Il borgo di Varese ed i suo contado erano stati affrancati da Carlo V nel 1436 allorchè Franciscus De Portabobus. figlio di Giovanni Antonio ed Enrico De Portabobus figlio di Nicolao. giurarono fedeltà al Monarca. L. Borri – Documenti Varesini – Varese 1891.

[11] L. Borri – Documenti Varesini – Varese 1891, p. 208-211.

[12] Singolarità del caso;  il patriziato di Varese ebbero in Carlo Borromeo, l’avversario di un tempo, un inaspettato alleato; fiero oppositore del regime spagnolo, prese le difese in prima persona dell’autonomia del borgo al punto che lo stesso Governatore di Milano, descrivendo la situazione di Varese al suo sovrano, non ebbe dubbi nel ritenerlo < el mayor rebelde que Vuestra Majestad ha tenido >. L. Antonielli e G. Ghittolini – Storia della Lombardia – Ed. Laterza, 2003. I° Vol. pp. 193-209

[13] Eletti dalle Squadre per suffragio diretto, < fra gli abitanti più ragguardevoli per nobiltà, ricchezza di censo, integrità di carattere, maturità di consiglio, corredo sufficiente di studi, pratica dè pubblici negozi >, duravano in carica 2 anni ( ordinamenti del 1585 ). L. Borri – Documenti varesini – Varese, 1891, pp. 27-28.

[14] Nicolao Perabò si avvaleva della collaborazione dell’architetto Giuseppe Bernascone anche per le opere civili cittadine tra cui, nel 1590, la costruzione della strada di Belforte. L. Giampaolo – Le Memorie della città di Varese – 1955, Tip. Galli, pp.60-61.