La Casata Perabo nel XIV e XV secolo

Il viaggio nel passato alla ricerca delle origini del Casato Perabò del Borgo di Varese, ci conduce in un periodo antecedente a quel secolo XIV accreditato dall’araldica ufficiale.

Agli inizi del milleduecento era in declino l’autorità, non solo giuridica, dei Conti del Seprio; essi non avevano più alcun peso nelle istituzioni del borgo di Varese, antico alleato, divenuto politicamente sempre più autonomo.[1] Allorché. nel 1287, nelle lotte intestine tra le nobili famiglie di Milano, Ottone Visconti rase definitivamente al suolo Seprio, perché più non risorgesse, Varese ne divenne la più fedele alleata.[2]

All’inizio del XIII secolo, un Perabò di nome Jacobus, era a  capo del borgo di Varese che già si reggeva a Comune; personaggio questo descritto come uomo di gran senno, i cui  < savi giudizi da lui pronunciati nelle assemblee, meritavano di essere conservati e consultati anche dai posteri >[3]

Dobbiamo attendere gli inizi del XIV secolo per ritrovare  nuovamente notizie della famiglia Perabò. Varese a quel tempo era divenuto un borgo < distinto e considerevole della Contea di Seprio >, un centro commerciale e religioso tra i più rilevanti della Lombardia, ricco più di chiese e monasteri, che di fortezze.[4] A quel tempo si era mossa la macchina dell’inquisizione nel quadro della sistematica opera di persecuzione voluta da Papa Giovanni XXII contro i “ghibellini” della Lombardia superiore sospettati di favoreggiamento nei riguardi dei Visconti di Milano, bollati questi ultimi nel 1322 come eretici manifesti. Un momento storico questo che si inquadra negli anni cruciali della lotta più generale tra potere laico dei monarchi europei e primato temporale della Chiesa.[5] Con le citazioni del 12 aprile 1323 venne per la prima volta implicato un gruppo di nobili varesini con l’accusa di aver collaborato con gli eretici di Milano; tra i componenti delle molte famiglie nobili di Varese incriminate, furono indiziati  Jacobus et Johanninus Perabos, subito rimossi dalle loro cariche pubbliche.[6] Questa posizione filo viscontea ebbe a costar caro ai varesini; solo con il pagamento in extremis di sedicimila lire imperiali poterono evitare il saccheggio del borgo da parte delle truppe di Antonio Fissiraga, podestà di Milano, inviato dal capoluogo lombardo a sottomettere con la forza gli eretici di Varese.[7]

Cessate, un ventennio dopo, le persecuzioni inquisitorie del Santo Ufficio, il borgo Varese iniziò un periodo di prosperità economica sotto le ali protettrici del Ducato di Milano, non avendo per nulla risentito delle lotte cittadine tra Torriani e Visconti che tanto avevano travagliato le terre lombarde.  I nobili Perabò erano divenuti, nel tessuto politico varesino, una delle famiglie eccellenti; non poteva mancare, come del resto era consuetudine nell’etica del ceto patrizio, il rituale ossequio alla Chiesa locale e la costante attenzione alle strutture pubbliche. Un gesto di devozione verso le istituzioni ecclesiastiche e assistenziali, una liberalità di certo apprezzate dal popolo dei fedeli e degli infermi, oltremodo gradita dalle autorità del Ducato. Un’occasione in più per legare ancor più il clero di Varese e le istituzioni pubbliche al potere del patriziato varesino.

A metà del secolo XIV, Andreolo Perabò supportato da altre famiglie patrizie del borgo aveva costituito in Varese un movimento denominato Scuola o Compagnia di San Giovanni Battista.[8]

Sulla scia di questa prodigalità, la casata Perabò non era rimasta indifferente. Domenico Perabò istituiva, nel 1357, una Cappellania nella Chiesa di San Cristoforo e San Giacomo,[9] poco dopo, nel 1362, Primolo Portabò ne seguiva l’esempio, disponendo che ogni anno venisse elargito all’Ospedale un moggio di mistura ( segale o miglio ).[10]

Determinante per lo status di patriziato della Casata Perabò, fu di certo la decisione di Giovannolo, detto Zolo, di istituire, il 27 luglio 1375, nella collegiata di San Vittore, una Cappellania dedicata a Santa Maria Longa, situata al lato sinistro dell’altare maggiore della Basilica.[11] Non lo poteva di certo immaginare il Giovannolo, che questa munifica iniziativa avrebbe fruttato alcuni secoli dopo, nel 1630, un riconoscimento nobiliare da parte dell’imperatore Ferdinando II; in virtù dell’esistenza di dette Cappellanie, specie quella più autorevole nella Basilica di San Vittore istituita da Giovannolo, l’imperatore avrebbe concesso ai Perabò il titolo regale di antica generosa nobile casata.[12] La magnanimità di Giovannolo non ebbe a limitarsi alle sacre istituzioni, ma si concretizzò qualche anno dopo, l’8 dicembre 1377, allorché donò, con atto pubblico, un appezzamento di terreno in località Ravanera nel territorio di Biumo inferiore, ai Rettori dell’Ospedale per la costruzione di un oratorio, accanto all’ospedale.[13]


[1] Sironi PG. – Castel Seprio storia e monumenti – Ed. Colombo Tradate, 1997,  pp. 33-34

[2] Ottone Visconti, Arcivescovo di Milano, emanava un decreto: <… Castel Seprio sia smantellato e perpetuamente tenuto tale, ne alcuno osi o presuma di potervi ancora abitare…>. P.G. Sironi – Castel Seprio – Storia e monumenti – Ed. Colombo, Tradate, 1997, p.43.

[3] Cronache di A. Angelati: <.. ridentissime hoc monere functus est Jacobus; non enim verbo solum, sed etiam scriptis contributibus suis prodesse curavit…>.  Colombo – Grancini – Gli Statuti e i Vicari in Varese – II – Bologna 1977, pp. 60-61

[4] Tadini R. – Varese com’era – Ed. Lativa, 1980, p. 17

[5] Il duca Matteo Visconti (1250-1322), ottenuto il titolo di vicario imperiale dall’imperatore  Arrigo VI (1311), controllava  buona parte del territorio lombardo  con i figli Galeazzo, Marco, Giovanni, Luchino e Stefano. Nella sede papale di Avignone, Giovanni XXII venuto a conoscenza della nomina imperiale ad arcivescovo di Milano di Giovanni Visconti figlio di Matteo, inviava frate Aicardo a Milano per  assumere, per nomina papale, la carica di Arcivescovo. Matteo Visconti per nulla intimorito, minacciò di morte l’inviato apostolico che non ebbe modo di entrare in città: scattò immediatamente la scomunica per il signore di Milano con l’infamante accusa di eresia ( 1322). Interdetto dalla città, a Matteo Visconti non restò che prendere definitivamente la via dell’esilio braccato dalle truppe metropolitane fedeli al Pontefice.  G.P. Giusti – Visconti e Sforza: i Signori di Milano – Ed. G. Iuculano, 1997, pp.156-160.

[6] L. Borri – Documenti Varesini – 1891, pp. 30-31.

[7] Ancor più incisiva appare la valutazione storica del Besozzi, allorché affermava che nelle nobili famiglie varesine, tra cui i Perabò, “non si era ancora spento lo spirito di parte imperiale che all’epoca del Barbarossa aveva permesso la presa del Castello del Monte di Velate da parte dei fautori di Federico”. I ghibellini varesini, se vogliamo così definirli, ne erano gli eredi diretti di quella antica dinastia imperiale. Ne è una indubbia conferma il fatto che con la bufera portata in Italia dal Barbarossa, i nobili della Contea del Seprio si schierarono compatti con l’Imperatore. Il Castello di Belforte in Varese, roccaforte del potere imperiale, era a quel tempo il centro  politico militare del contado del Seprio, sotto la giurisdizione del funzionario governativo Godwin von Heinsberg, meglio noto come Gozoino.  L. Besozzi  – I varesini nella contesa tra Giovanni XXII e i Visconti – pp. 25-29.

[8] Un‘associazione laica che si proponeva, tra le tante iniziative, di potenziare il nuovo Ospedale sotto la gestione laica dei Consoli, pur riservando alla collegiata di San Vittore le competenze ecclesiastiche dell’annesso oratorio.

L. Borri – Lo Spedale dei poveri – 1901, p. 47.

[9] La Chiesa di San Cristoforo confinava con l’antico Ospedale di San Giovanni Evangelista, titolo che s’è mantenuto tuttora nella Cappella dell’Ospedale di Circolo. Bertolone M. – Terra nostra – Ed. A. Faccioli – Milano, 1952, p.40

[10] L. Borri – Lo Spedale dè poveri di Varese – 1901, p. 307.

[11] Nell’atto di costituzione di quest’opera, il Zolo ebbe a prevedere,  a  copertura finanziaria, un patronato attivo e passivo che doveva essere onorato “in perpetuo” dai discendenti della famiglia Perabò, con l’obbligo di adempiere a quelle funzioni religiose che l’istituzione di una Cappellania  comportava.  L.Borri – Lo Spedale de’ poveri di Varese – 1901. pp. 48, 331.

[12] Ratisbona, 20 agosto 1630. L’Imperatore Ferdinando II, considerata l’antica nobiltà della famiglia, concedeva a Bernardo Perabò il privilegio di inquartare la sua arma con quella di suo genero Camillo Colombani: lo stemma dei Perabò con il rosso toro infuriato e le tre pere pendenti, si venne posto in un riquadro della rossa arma dei De Colombani, accanto alla torre d’argento aperta, finestrata e mattonata di nero, sormontata da due stelle di otto raggi d’oro blasone di questa famiglia patrizia milanese.” Dall’Enciclopedia Storico Nobiliare Italiana, pp. 245-247

[13] Nell’anno 1377 Giovannolo Perabò donava una proprietà terriera nel territorio di Biumo inferiore ai Rettori < scolle et scollarium hospitalis novi sancti Jhoanis Baptiste, burgi de Varisio ….>.  L. Borri – Lo Spedale de’ poveri di Varese – 1901,  p. 48.